Inquietudine e fede

Inquietudine e fede

conversazione con Bernardo Soares

In questa relazione ho immaginato un colloquio fra il personaggio creato da Fernando Pessoa ed alcuni personaggi del Novecento esperti di varie discipline.

Le inquietudini di Soares sono le domande che si pone ogni uomo moderno.

Un uomo decadente, che vive nel mondo ma non vi appartiene, che è stanco di tutto, che desidera anche la morte perchè la vede come una liberazione dalla sua condizione di eterno infelice.

Un rappresentante immaginario dell’esistenzialismo,pieno di angosce, di perchè ai quali da  solo, non riesce a dare risposte convincenti.

E allora, proprio, come una volta, si soleva curare un malato, ho organizzato un consulto chiamando a raccolta voci diverse in grado di guarire Soares, almeno per il tempo di questo intervento.

Innanzi tutto il contesto nel quale vive e che condivide con noi, Soares.

«Questo tempo che è notte del mondo, perchè gli uomini non soffrono più della mancanza di Dio», come afferma Bruno Forte nel suo libro “Teologia in dialogo”.

«La malattia mortale è l’indifferenza, il non soffrire più per  quella” mancanza di patria”che è anzitutto la perdita del gusto a cercare le ragioni ultime del vivere e del morire umano.»

E Boenheffer sottolinea il legame dell’uomo moderno con il Cristo sofferente, un «Cristo che muore ai margini della città, in croce”.

Analizziamo allora, questo Dio uomo, con l’aiuto di Romano Guardini e della psicoterapeuta Hanna Wolf, in cosa consiste la sua unicità.

»Cristo possiede una pienezza di sguardo  che è insieme un essere assolutamente dentro il mondo e uno starvi assolutamente sopra.

Può afferrare il mondo dal suo centro, vedere il tutto nelle parti e il tutto delle parti. Suo e’ lo sguardo della Weltanshauung, Egli solo è questo sguardo; e solo l’uomo che guarda a partire dal punto di vista del Cristo vivo può cogliere la pienezza del mondo nella sua totalità e può formulare un giudizio.

La sua umanità non cerca mai lo straordinario, manca di ogni vistosità […], i suoi gesti sono semplici e schietti come le sue parole che messe accanto a quelle di Buddha, sembrano scarne, quasi d’uso comune.Non aveva bisogno che qualcuno lo informasse sugli uomini, perché sapeva bene che cosa c’è nel cuore di ognuno »

«Egli stesso si definisce “medico” non per i sani o per coloro che presumono esserlo, ma per  malati che hanno il coraggio di riconoscersi tali.[…]  Poteva vedere con assoluta facilità vedere i loro pensieri, vedere anche la loro fede, la fiducia o la diffidenza e intuire le loro azioni piu’ riposte.

Si trattava come nel caso del giovane ricco, di una diagnosi differenziale fatta a prima vista. E’ del tutto evidente che Gesù disponeva di una funzione intuitiva altamente differenziata, vicina alla chiaroveggenza.

Il Nuovo Testamento attesta continuamente che l’impressione dominante da lui suscitata era quella di chi sapeva insegnare e parlare con forza o con piena autorità. Non che facesse violenza o s’imponesse con arbitrio ad alcuno, anzi di quel che diceva si restava convinti. Non era solo la sua parola a convincere, ma soprattutto l’efficacia del suo agire. La terapia che egli metteva in atto era la sua stessa persona.

Questo principio è generalmente valido per ogni psicoterapeuta, questi può dare un aiuto al paziente soltanto nella misura in cui egli stesso ha raggiunto integrazione, identità o individuazione.

In Gesù, un tratto originale di grande fascino è la sua caratteristica serenità: nei confronti di ciò che può capitare oggi, domani, o in qualsiasi momento, nei confronti di tutta l’imprevidibilità della vita . [… ]

Una naturale serenità non è una qualità acquisita, è l’atteggiamento di fondo di una personalità integrata, priva di ansie, legata alla realtà, dai sensi gioiosi ed aperti, sicura. Egli parla delle possibilità creative dell’uomo . Lo dice in parabole, lo dice in singole parole icastiche, come si può essere accorti o sciocchi, pazienti o risoluti,come ci si può ostinare caparbiamente o cambiare vita , interrogare il cuore senza ignorare la ragione. Come si può essere concilianti senza delusione o amarezza.

Ed ancora Hanna Wolf, sintetizza per Soares, la principale causa delle nostre frustrazioni:

«Il nostro intelletto o la nostra impazienza hanno purtroppo il difetto di non saper aspettare, ma piuttosto di confondere arbitrariamente il decorso delle cose. Da questa confusione nasce la maggior parte delle nevrosi»

Ma per soddisfare in pieno il nichilismo di Soares, è necessario partire, a mio parere, da una considerazione lucida e logica come il pensiero di Michele Federico Sciacca e la sua Idea dell’essere.

Se l’uomo conosce delle verità necessarie e universali in quanto tali da sempre e per sempre e la loro radice non può essere rintracciata nell’uomo in quanto essere finito e contingente, è chiaro che esiste Altro al quale siamo legati da qualcosa di unico.

Per Rosmini e poi per Sciacca, questo legame è l’Idea dell’essere, una luce che ci costituisce intelligenti “ a Sua Immagine e somiglianza” che ci rende capaci di dire e di conoscere le cose esistenti come  sono.

L’uomo del resto è essere pensante, superiore alle cose ed agli animali, proprio per questa sua capacità e per tale presenza è spirito, quindi può superare la realtà empirica ed aprirsi alla metafisica.

Il finito è l’essere umano esistente, l’infinitoè l’essere oggettivo intuito dalla sua mente e quindi l’Idea dell’essere

Quest’ultima conferisce a tutte le forme di attività dello spirito un dinamismo che spinge l’uomo alla trascendenza: il pensiero, per la presenza dell’Idea, non è mai adeguato da nessuna realtà pensato nell’ordine del finito; la volontà non può venir adeguata da nessuna cosa voluta, se finita, il sentire anche quando ha colto tutto il finito sotto la forma del bello, rimane ancora intatta capacità di sentire.»

E’ chiaro quindi che gli unici effettivi limiti di Soares sono quelli che egli stesso si pone.

L’uomo trascende tutto ciò che è finito per la presenza in lui dell’essere come Idea, la “verticale “ dello spirito , non adeguabile dall’orizzonte del finito. Questa è la sua grandezza ed insieme la sua miseria.

Altresì l’Idea infinita non può essere in modo originario e costitutivo della mente umana che è finita

Dunque prima che della mente dell’uomo essa è oggetto della Mente infinita, del Soggetto o dell’Esistente assoluto.

L’Idea è perciò il divino nell’uomo diversissimo da Dio perché intuire l’essere ideale non è intuire l’Essere nella sua essenza e realtà.

E tuttavia senza la via dell’Idea non si giunge a Dio, in quanto quest’ultima è il nesso che unisce il creato al Creatore, il divino nell’uomo, l’elemento che fa di lui, ontologicamente, un essere ateistico e religioso, la via di comunicazione attraverso la quale egli si innalza al di sopra della natura e di se stesso.

Il lume oggettivo della verità che è dato come Idea ed oggetto intellettivo e dunque indeterminato rimanda al Donatore, al Soggetto che è la Verità, la pienezza assoluta, l’Essere, che non è qualcosa d’impersonale ma la Persona assoluta.

Cosi l’uomo, se Dio non esistesse, non penserebbe, perché pensa solo grazie all’Idea, che è un dono di Dio».

E se l’uomo pensa grazie ad un dono di Dio è evidente che quest’ultimo è parte integrante del suo stesso essere.

Ma spieghiamo ancora a Soares, uomo dall’animo ondeggiante, il raggiungimento di un equilibrio interiore:

«L’equilibrio dell’uomo è sempre instabile; l’eredità di Adamo lo fa camminare sempre sull’orlo di precipizi, anche se la mano di Dio, in interiore, è sempre sollecita al soccorso: l’ora di Cristo suona ogni qualvolta l’uomo perde il suo equilibrio interiore; suona tante volte in ogni giorno della vita del singolo, come suona nei momenti gravi della storia dell’umanità, quando è rotto l’equilibrio interiore tra gli uomini e Dio, tra la mente e la fede, tra la creatura e il Creatore, cioè quando l’uomo ritenta la prova di Adamo, esce fuori di sé perché fuori dell’ordine.

Dalla caduta l’uomo ha cominciato a fare la prova della sua autosufficienza, di cosa significhi essere abbandonato da Dio alle sue sole forze.

L’Incarnazione e la Crocifissione ridanno all’uomo “la Via, la Verità, la Vita”: Cristo canale della Grazia, muore di croce, affinché l’uomo peccatore instauri in Cristo e per Cristo il suo equilibrio interiore perduto per il peccato.

Ogni qualvolta quest’equilibrio è rotto e l’uomo non riconosce Dio, la lotta dell’uomo con se stesso e con i suoi simili si riapre, come scrive San Paolo (Rom., I,31) in un mondo “senza legge ,senza amore, senza misericordia nel quale, per contro regnano l’arbitrio, l’odio e la durezza spietata dell’egoismo: l’uomo vi esperimenta che cossa comporti la sua autosufficienza, cioè l’ateismo.»[1]

Come reagire quindi alla monotonia della vita reale se non affidandoci all’unica vera forza in grado di modificare la nostra esistenza?

«Il gusto del quotidiano, di quel che ogni giorno ci abbisogna, che ci viene incontro per sostenerci, aiutarci, ogni giorno nostro, sempre il medesimo e per nuovo riconquistato con la schiettezza, l’umiltà, la poesia con cui nella Preghiera è detto: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Diverso è il giornaliero, cioè quel che meccanicamente si ripete tutti i giorni, per abitudine, si fa di malavoglia, quasi imposto dalla necessità della consuetudine. […]

Vi è una “verginalità dello spirito” che ha tanta originalità e potenza creativa da penetrare, senza gesti eroici, al di là di ogni abitudine spessore opacità di conformismi esteriori, al punto da trovare la forza intatta e immacolata di vedere ogni volta le cose come se fosse la prima.

E’ il senso dell’amore, del quotidiano; la quotidianità è amore: vedere il già visto con occhio nuovo ed arricchirlo, arricchendoci, di nuovi sensi insospettati, scoprirlo nella pienezza del suo essere e della sua verità.[…]

L’infinito ci avvolge, un’immagine di infinito è in tutte le cose ed in noi che nell’infinito ci scopriamo e riscopriamo, sempre: è la fatica gioiosa dell’occhio d’amore.[…]

Senso del quotidiano è saper ricreare ogni giorno la stessa persona o la stessa cosa: è il vigore poetico o fantastico dell’amore, la cui fantasia, che è intelligenza o scoperta della verità della persone che si ama e non invenzione, è estrosamente vera; non fare le cose soltanto puntualmente come orologi, ma farle liberamente con fede secondo la norma amorosa dell’essere.»

A questo punto ricorderei che questo concetto è presente anche in altre culture, come nei testi di  Osho che avrebbe sicuramente incoraggiato Soares a far parte della sua comunità:

<<L’amore è il solo riposo possibile; l’amore è il solo rifugio. Qualsiasi altra cosa trovi, sono solo nuove tensioni, nuovi fardelli. Gesù dice: “venite a me voi che portate pesanti fardelli,. Il mio fardello è leggero; venite a me, riposatevi in me”.

L’amore è l’unica libertà dall’attaccamento,. Quando si ama tutto non si è attaccati a niente.

Quando tu nasci nell’amore, la religione nasce in te. Allora tutta quanta la tua vita diviene un’armonia, una canzone.

Quella armonia è nascosta in te; manifestala. Manifesta il tuo amore. In ciò consisterà la tua preghiera.»

E infine un richiamo ad un altro grande maestro di spiritualità contemporanea quale Thomas Merthon:

«Se cerchiamo la felicità solo per noi, non la troveremo mai, perché se è tale da diminuire quando la si partecipa agli altri, non è grande abbastanza da renderci felici.[…]

La felicità vera si trova nell’amore disinteressato, in un amore che cresce quanto più si dona e in questo donarsi non vi è mai fine e quindi illimitata è la felicità che esso racchiude in potenza.

Donarsi all’infinito: ecco la legge della vita intima di Dio. Egli ha fatto del dono di noi stessi la legge della nostra esistenza: ecco perché amando gli altri amiamo meglio noi stessi.»

Quindi il raggiungimento della serenità e della felicità per l’uomo è imprescindibile dall’avere fede.

Il cammino è arduo ma nella nostra religione, siamo fortunati in quanto possiamo contare oltre che sull’aiuto costante della Santissima Trinità, anche sull’esempio di numerosi Santi che spesso furono uomini provati dalle sofferenze della vita, intelletti estremamente brillanti che approdarono alla verità dopo aver vissuto le medesime inquietudini del nostro Soares.

Possiamo, quindi, soddisfare la nostra sete di infinito alla fonte inesauribile dell’amore di Dio, un amore che ci arricchisce quanto più riusciamo a farne partecipi anche gli altri.

Anna Maria Imparato

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