Perché bisognava essere in piazza San Giovanni

Perché bisognava essere in piazza San Giovanni

La gravità della situazione politica che si è venuta a determinare in questi ultimi mesi ha fatto sì che gli appuntamenti in piazza si siano via via intensificati.

L’apporto che noi, come cittadini, possiamo dare per contribuire a mantenere in vita la democrazia e la Costituzione che sono poi un unicum inscindibile, è di una grandezza storica. Ed è già storia come hanno dimostrato l’ampiezza e lo spessore della manifestazione nazionale di sabato 14 settembre.

E noi dei girotondi siamo scesi in piazza ogniqualvolta vi è stato un attentato ai principi costituzionali che sono poi le fondamenta del vivere civile. La manifestazione davanti al Senato, assolutamente unica e straordinaria per le sue modalità di svolgimento, testimonia di quanto sia avvertita la gravità del momento politico e di quanto sia evidente la deriva democratica a cui ci sta portando l’attuale governo. Ogniqualvolta noi cittadini abbiamo percepito il pericolo imminente abbiamo dato il nostro contributo manifestando e mobilitandoci con le nostre sole forze, perché la democrazia è questo anche dal punto di vista dell’etimo,  della parola.

E noi come cittadini non siamo più disposti a dare deleghe in bianco – a nessuno- sia chiaro nella convinzione che la democrazia non può esaurirsi nell’apporto che ogni 5 anni l’elettore dà inserendo una scheda nell’urna e poi tornandosene a casa, ma partecipando attivamente anche in funzione di controllo del ruolo dell’opposizione.

E così ci siamo trovati assieme su tanti temi, giustizia, pluralismo dell’informazione, una scuola ed un diritto di sapere uguale per tutti , il lavoro.

La manifestazione di sabato era dedicata alla giustizia. Io credo che come avvocato se non avessi fatto qualcosa, se non avessi preso posizione in difesa dei principi costituzionali, non avrei avuto più la faccia per esercitare la professione coerentemente con il giuramento che si fa quando ci si iscrive nel nostro albo.

Come avvocato non potrei più esercitare coerentemente se auspicassi un magistrato asservito al potere politico, perché a questo punto io non sarei più libera.

Come avvocato non posso starmene a guardare la produzione legislativa del partito degli avvocati che continuano ad esercitare,  come il loro cliente primario, in aperto conflitto d’interessi: le eccezioni infondate che vengono respinte nelle aule di giustizia vengono magicamente reintrodotte per via legislativa.

Questi avvocati lasciano quindi i Tribunali e continuano la loro attività negli studi ubicati in Parlamento. E questo sarebbe il giusto processo di cui vanno parlando?

Le nostre ultime mobilitazioni, come avvocati democratici, risalgono proprio al processo SME che si celebrava a Milano. Erano i tempi della nota diatriba che si agitava sulla questione sollevata dalla difesa circa il trasferimento del giudice Brambilla. La nostra protesta, che doveva svolgersi nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, era proprio contro le decisioni governative di trasferire il processo ad altra sede giudiziaria.

Ebbene, io come avvocato ho dovuto scoprire che in un Tribunale di questa Repubblica oggi sollevare cartelli con la scritta “La legge è uguale per tutti anche per Berlusconi e Previti” è considerato atto eversivo e come eversori, ignorando le toghe che indossavamo, i tesserini dell’ordine professionale che abbiamo spontaneamente esibito a polizia e carabinieri che nel frattempo ci avevano accerchiato, come eversori siamo stati trattati: fermati, schedati, sequestrati i cartelli, corpo di reato.

E quindi, di fronte ad una situazione del genere che è emblematica del clima che si respira, definirci giustizialisti perché ci occupiamo di politica giudiziaria dalla parte della difesa della nostra Costituzione, mi sembra un grave abuso terminologico che denota un’ignoranza di fondo perché il termine è usato a sproposito come a sproposito usano il termine “massimalista” per Cofferati quando difende i diritti primari del lavoratore.

I detrattori dei movimenti si rifiutano di vedere che questo governo senza orrore di se stesso e con un’arroganza, una volgarità e soprattutto un’ignoranza senza precedenti, ha come unico obiettivo quello dell’azzeramento del controllo di legalità, ma attenzione solo per ricchi e potenti di cui le recenti modifiche legislative sanciscono – con una tracotanza irritante- l’impunità.

E veniamo alla proposta di legge CIRAMI. Se passasse la proposta di legge CIRAMI funzionerebbe così: il processo passerebbe da un tribunale all’altro alla ricerca del giudice gradito. La novità della Cirami è che l’istanza di trasferimento del processo ogni qual volta l’imputato lanci il sospetto che i giudici d’un dato tribunale non siano imparziali.

E se la richiesta di trasferimento non viene accolta dalla Corte di Cassazione, poco male, la si può ripresentare all’infinito ed anche a processo in corso. E’ evidente che di questi escamotage non può beneficiare l’immigrato nigeriano o comunque il poverocristo, ma molto più credibilmente l’imputato ricco, potente o mafioso che potrà permettersi un avvocato che non deve essere necessariamente un raffinato giurista, ma deve avere solo una discreta faccia di bronzo per invocare i più futili pretesti per ripresentare all’infinito – a pagamento – la richiesta di trasferimento del processo. Insomma un eterno gioco dell’oca.

Ma se questi sono gli effetti devastanti della proposta di legge Cirami; ancora peggio sono quelli della Pittelli ex Anedda. Anche questa legge ha come obiettivo quello di impedire la celebrazione dei processi con un’infinita serie di pretesti. Ad esempio, anche qui si dilatano all’infinito i pretesti per ricusare il singolo giudice il quale potrebbe essere ricusato pure se ha manifestato un’opinione personale non attinente al processo e la invenzione di pretesti può andare avanti fino a quando l’imputato non trova il giudice di suo gradimento, che probabilmente non si troverà mai come il famoso albero di Bertoldo.

Tutto ciò viola oltre che il buon senso anche l’art.25 della Costituzione.

Ma anche la proposta di legge SAPONARA – altro avvocato del premier- non è meno pericolosa. Essa permetterebbe la revisione di tutti i processi dei mafiosi già condannati, che andrebbero nuovamente celebrati con nuove regole che però annullano le prove precedentemente acquisite. Altro esempio di giusto processo, no?

In questo modo tutto il lavoro di giudici come Falcone e Borsellino verrebbe azzerato. Sarebbe un oltraggio intollerabile per tutti noi.

 Ma anche in campo civile non mancano i guasti, perché c’è un progetto di privatizzare la giustizia del lavoro. Per dirla in breve, il più delle volte il giudice verrebbe sostituito da un arbitro a pagamento. E provate a d indovinare: a chi potrebbe dar ragione l’arbitro pagato dalle aziende?

Mi piace ricordare che l’Italia è una Repubblica democratica e non  una società per azioni di proprietà di pochi.

Ma voglio ancora tornare sulla questione dell’interesse prevalente finora dato dai movimenti ai temi della giustizia. Ma a chi verrebbe di dubitare che se viene meno il principio “la legge è uguale per tutti” e il cardine dell’indipendenza della magistratura ci giochiamo un pezzo di democrazia?
Ma pensate che ce ne faremmo qualcosa anche dell’art. 18 se poi il lavoratore licenziato quel diritto alla reintegrazione non può esercitarlo in un Tribunale libero, davanti ad un magistrato indipendente?

Ed ancora: noi come movimenti resisteremo contro ogni tentativo di separazione delle carriere dei magistrati che servirebbe soltanto a sottoporre la magistratura al potere dell’esecutivo. Questa è una battaglia non per una categoria ma una battaglia di civiltà giuridica così come la garanzia di uguaglianza dinanzi alla legge di tutti i cittadini di uno stato democratico.

E così non possiamo non manifestare per difendere quello che resta della libertà di informazione.

Noi abbiamo il dovere di fare politica in base ai valori fondamentali su cui abbiamo ricostruito la nostra partecipazione come cittadini alla vita pubblica e diciamo forte all’opposizione: nessuna concessione a questo governo che ha dimostrato di essere la negazione della democrazia.

Quando Massimo Salvadori storico delle dottrine politiche intravede il pericolo di una tirannia della maggioranza richiamandosi a Tocqueville, forse ci fa comprendere che non è più tempo di divisioni, di frammentazioni, di sterili e sottili distinguo. Quando la democrazia è in pericolo, come in questi tempi, c’è solo una cosa che può salvarci: l’unità.

Giuliana Quattromini
(Girotondi di Napoli)

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