Sublimazione, Arnold de Vos

Arnold de Vos

S  u  b  l  i  m  a  z  i  o  n  e

Poesie
 

 

                            Il mio strale è nella parola         

(Intelletto redento)  

 

a Ahmed Safeer

Arnold de Vos,  Sublimazione  

 

I l  r a t t o

 

Inseguo il ragazzo fra sprazzi

d’imbarazzo e palpiti.  Un passo avanti

nell’abbraccio, impenna i polsi

mentre l’impulso avvicina

due pelli alla repulsa e solitudini.

 
I c a r o

 

I luoghi dell’infanzia: tra zie e nonna

uno sconfinato mondo isolano

al bivio del fiume.  Uscivo la sera per non tornare.

Tornavo quatto per paura del buio.  Dormivo quatto

per paura del…  Mi svegliavo anche: fuori del letto

sentii la stuoia entrarmi nelle suole, l’odore

acre, il letto di legno dipinto a finto legno

duro forarmi il didietro.  Ricordo quelle torniture

alte, galleggianti nella luce

bassa sull’orizzonte verso cui rifluivano nuvole.

 

S c u o l a  p a t e r n a

 

Affettuoso non era: l’affetto espresso in denaro,

la tenerezza in tempo dedicato, poche frasi sbrigative

o anche timide.  La verità, quella vera va sottaciuta.

Vivere nell’agguato della parola non detta.

Appena affiorato, scancello dall’occhio l’affetto

nato or ora: espresso in denaro, mi verrebbe più sodo.

Il dettato non è sbrigativo, pecca di eccesso

di rimangiato semmai.

 

 

 

 

T m e s i

 

Soli.  È come essere in molti:

la solitudine divisa con un groviglio

di altri noi stessi, indifferenti al singolo

destino non compartecipe.

 

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

I n t e l l e t t o  r e d e n t o

 

La mia sponda è distante: nuoto e non afferro

che lontane frasi, strane luci, asteri mnemotonici.

Il mio strale è nella parola: ferisce, medica

anche lo stupore, anche l’atipicità.

 

 

 

 

I l  l a r g o

 

Aster e specchio di cose, la luce riflette

il loro sorriso nell’aura del mattino.

Cosa sorridente io stesso, penso

il mattino che sorge sulla barca del mondo

e issa la vela, con me.

 

 

 

 

I l  s o r p a s s o

 

Con la testa e le spalle emerge dai sette colli.

Indovino il suo nudo a galoppo nel cielo

e noi con esso, sette colli saltellanti

nel mare mulinello di blu.

 

 

 

 

P o n t e  R o t t o

 

Si perdono le voci nella sera.  Raccolgo

il mio fiato superfluo, e scendo la rampa

del lungofiume.  Qui è caldo di corpi.

Compunto mi isolo, gaio nella comunanza dei beni

 

dei mali che non si consumano.

 

 

 

 

L o  s c h i a m a z z o

 

Andar per rime: irrisolto, il cuore

sente le perfide baciarsi senz’amore.

Sullo sfondo un abisso di città

voci stentoree, e permalosità.

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

L a  b a r c a c c i a

 

L’acqua del fiume consueto e calmo

e il rostro fetido palmo per palmo

contendonsi la frana sulla cresta, squama enfatica

di Roma infesta che insulsa scarica cloaca

e cuore.  Panfilo storico, da crepacuore.

 

 

 

 

 

 

I l  p e t t i n e

 

Le fila della vita tutte quante

le tiene in mano un gigantesco Atlante,

che in sull’ordito dell’umana monta

le alza abbassa e ogni fil riscontra,

smaglia e ammalia: e quando poi va male

scuote la man, rassetta il crinale.

 

 

 

 

 

 

S o g n o

 

Bacio il volto affondato nel sogno,

tratti affiorati dal centro della terra.

Di chi è non so, alle domande non risponde.

Ci svuotiamo contro un muro

bocca e fionde.

 

 

 

 

 

 

I n t e r n o  c o n  f i g u r a

 

Ai ritratti al mobilio alle piante,

a pareti e parato mi ammanto

nel dicer spicciolo, nel folle teatrino

tra quinte specchi e vetri in cui mimo

le mie gesta con un minimo di voce,

gabbia e canarino cristo e croce.

(Che la finestra è aperta, ormai non nuoce).

 

 

 

 

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

L a  p o t a t u r a

 

Le poesie sentenziose sono spine con rose

colte con mano sanguinante, diti pensanti.

Chi coglie le estrae con doglie.  Poesie

spinose, cimano i sensi a fior di cose.

 

 

 

F o r n e l l o  s p e n t o

 

A sera le voci tardano.

L’ultimo incontro non avvenuto

lascia la bocca secca, la notte

raschia il suo fondo di pentola.

 

 

 

G u i z z i

 

La luce è zimarra e ramarro,

smeraldo fulgido che fiora il tabarro:

manto veloce e ipostatico del cielo

che muta tono, mai non ritmo e zelo.

Il buio che su noi talora scende

è la lucertola, ansima e si riprende.

 

 

 

S c a c c i a p e n s i e r i

 

Girando l’alfabeto   zittisco e m’azzeto

di note belle chiare,   che ne incontro amare:

scombussolo scompagino   rifilo e impagino,

da zeta a i greco   è lingua che m’impreca.

Le labbra dolceamare   pregano: lascia stare,

e io a sospingere   il becco che vuol fringuere

finché morte introna:   Fu matto ma persona.

 

 

 

I n  t a g l i o

 

Il principio del mondo: la lama

della parola nella carne,

la mente vaga sopra le acque del mattino.

Emergo dal punto che mi fende.

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

L a  s a l s a

 

Si sveglia con la luce la favella,

sa di terreno bosco e fontanelle

e piana arde, saltella per la china

dove l’acqua ruzza a valle e in cantina.

E torchia il mosto, spreme il cervello

e fonde tutta cosa in menestrello.

 

 

 

 

 

S u b l i m a z i o n e

 

Possiamo dire di essere vinti

dalla vittoria che non viene,

dalla parola di troppo che la guasta,

dal sabotaggio del linguaggio nella mente,

dalla mente a contrasto con il corpo

dal mio corpo che non mi vuole, volo

talvolta in trionfante discordia.

 

 Roma, 1984

 Arnold de Vos,  Una fuga di cipressi

 

S p l e e n

 

La rosa sfumata

nega la testa. Nicchia:

nel vaso del mattino volano

sue spine, umbratile

occhio d’albino.

 

 

 

C r i s a n t e m o

 

Crisantemo di un giorno alza, su spalle

azzurrine, la testa argentea e la libra.

Fiutiamo tutti il suo naso per il profumo

di prima mattina.  Gongola, si scrolla di dosso

il nugolo di petali.  Autunno che vola via.

 

 

 

 

 

L a  t e s a

 

La donna col cappello risale la china

della sua voglia calante: procede

per piani mistilinei, contro l’avversa

falda che castra il suo orizzonte.

 

 

 

 

M a t i n é e

 

Ombre spiritate mostra il teatrino

della controra: girano veloci

angoli, spiazzano le facciate.

Tirata su la veletta delle rughe,

Firenze snebbiata le guarda

cappellino turrito a mezz’aria.

 

 

 

 

T r a m o n t a n a

 

Il vento alto sul tetto scuote

la capriata. Il sangue nelle vene

s’incorna, quando s’incontra.

 

Arnold de Vos,  Una fuga di cipressi

 

M a t t i n o

 

L’afferro per un pelo, il filo

di luce entrato per primo stamattina.

Già vacuo il sonno se n’era andato

su due piedi, esaurito il compito.

E la mano aveva cominciato a vagare

nei capelli, groviglio di pensieri.

Faceva ancora buio ma già vedi

il lunario delle sette spade troncarti

ogni via d’uscita.  Ed entra il filo che

afferri mentre svolazzi.

 

 

 

 

C l a u s u r e

 

Alte mura, e fioca luce.

Ma la pianta del cervello

cresce, nottambula

estro versa.

 

 

 

 

I l  v o l o  d e l  p i a n o f o r t e

 

a Vladimir Horowitz                    

 

Il volo del pianoforte

dalla finestra di casa del pianista giovane

non si arresta: per tutta la vita coccola

la tastiera anche rotta, fa vibrare la coda

stramazzata.  Cascata fatata nel giardino dell’infanzia,

il tocco guasto l’affascina

nell’interpretare acmi e rotture altrui

con la devozione ripromessa nel pogrom

che devastò la casa paterna arretrata nel grembo

definito, fruibile della vita.

 

 

 

 

U n  u c c e l l o  s u  u n  r a m o

 

Un uccello su un ramo

in ultimo prevede il volo

ove tutto è leggero

e presto cade.

Arnold de Vos,  Una fuga di cipressi

 

M u s e o

 

Statue e non torsi.

Nel museo della vita

vago per le sale

vuote, piene di vuoti.

 

 

 

 

 

F u o c h i  l u n g o  i l  f i u m e

 

Fuochi sul lungofiume assembrano gambe, stami

che l’acqua rende fumidi.

Ma la visione chiara vola dai platani,

appioppa pallottole e sogni.

 

 

 

 

 

P a s s a  p e r  l a  m u r a g l i a

 

Passa per la muraglia

il gregge delle campanelle, e s’infila

nell’ovile.  La sonata finisce

nel silenzio fatto di latte.

 

 

 

 

 

U n a  f u g a  d i  c i p r e s s i

 

All’orizzonte corrono veloci

esclamativi senza virgole.  Interrogativo,

il sole li concentra in un punto

in cui oscilla una frase soppressa.

 

 Trento, novembre 1989

 Arnold de Vos,  Paradiso e destino  

 

Sono bandiere i nostri occhi

sventolati per pochi,

vessilli e fiamme oltremarine

sull’indaco del mare serale.

 

 

All’orizzonte delle mie notti

la processione dei giorni si ferma

e vede arrancare me in mezzo al guado

della fiumana che mai si ferma.

 

 

Taverniere, posamelo davanti

il bicchiere colla rosa sulle labbra,

fedifraga spina d’amore

a piè del lungo pellegrinaggio che è la vita.

 

 

*

 

Busso alla porta del cuore.  Senza risposta.

Busso alla porta del corpo.  Senza risposta.

Busso alla porta del mondo.  Senza risposta.

Busso alla porta di Dio:  “Bussa alla porta del cuore,”

                         è la risposta.

 

 

È vino la rugiada spillata dalla rosa dell’alba

nella taverna dell’Amore,

ove il coppiere tracima prosciugando

la perla insonne delle pudende.

 

 

Vorremmo tutti finire in bellezza

tumulati nel cuore di qualcuno,

sotto la chiave di volta del capezzolo

illuminare il sonno d’un torace.

 

 

Mi s’è piazzato davanti e si è sbottonato tutto

un cipressino vestito di lutto

la vita fasciata da un bel giardino, cimiteriale

paradiso e destino.

 

 

Quando ti stendi sul tappeto

di lana sarà la mia mano:

sacrificherò l’agnello, oh

sesso menestrello.

Arnold de Vos,  Paradiso e destino

 

Hai l’inchiostro dentro,

folletto: la penna non fa che

captarlo al volo dal tuo elfo

adelfo.

 

 

Muro, ho pianto

davanti alla tua isodomia

 

stono perfettamente.

 

 

*

 

In grappoli sotto il pergolato della taverna

detti e non detti,

                 pensieri e desideri degli avventori ristagnano

al gocciare della candela finché tu, coppiere

non smoccoli gli occhi.

 

 

Vengo completamente ripulito alla tua vista,

smantella tutto quello che ho nel mondo:

apparenza fallace, occhio fallibile.  Ma la bocca

continua a dire, dare e ricifrare il mondo.

 

 

È il manto di Dio il mantello del mondo,

è il manto di Dio il nudo dell’amante:

ballano in tondo, colte in flagrante

le vergogne con la parola infamante.

 

 

Santi viandanti mendicanti

vanno per il mondo lodando Dio:

il cielo è la loro cassa di risonanza,

la terra il nappo per il cibo che avanza.

Hanno modi leggieri sbrigativi

occhi puntati, interrogativi

e tra di loro ballano in tondo

sulla pedana ch’è questo mondo immondo.

Musici e cortigiani,

fanno il paradiso di domani:

saranno tutti giovani e belli;

i sedentari vorrebbero essere di quelli,

carcerati nell’angustia delle tombe

suppedaneo stracarico di ombre,

sabbiato dai coturni di nudi e denutriti

alla corte vagante del cenacolo dei miti.

 

Arnold de Vos,  Paradiso e destino

 

 

Estate estatica

danza dei covoni

 

nel fluttuare del

fascino della terra.

 

 

 

Masturbazione

ballo delle assenze,

centrifughe presenze.

 

 

 

Dal paradiso in oriente al destino, l’occidente

sul catafalco della terra

la luna degli usignoli

rabesca il damasco del cielo.

 

 Trento, dicembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

INDICE

 

I.  Sublimazione

 Il ratto

Autunno

Per quanto ancora

 

Icaro

Scuola paterna

Tmesi

Il mostro

Intelletto redento

Il largo

Il sorpasso

Ponte Rotto

Lo schiamazzo

Abbordaggio

La barcaccia

Il pettine

Umor nero

La vela

Chiusura lampo

Sogno

In balia dell’iride

Interno con figura

Il fantasma

La potatura

Fucina casalinga

Fornello spento

Guizzi

Bric-à-brac

Scacciapensieri

Il buttero

In taglio

Lauda a lieto fine

Stornello

Domus pertusa

Risurrezione

 

La salsa

Finis terrae

Sublimazione

 

 

II.  Una fuga di cipressi

Conversazione di facciata

Spleen

Crisantemo

La guglia

Arnold de Vos,  Sublimazione

 

La tesa

Matinée

Tramontana

Skyline

Agonia in un interno

Mattino

Clausure

Il volo del pianoforte

Un uccello su un ramo

Primavera nella cava

Museo

Fuochi lungo il fiume

Passa per la muraglia

Una fuga di cipressi

 

 

III.  Paradiso e destino

Sono bandiere i nostri occhi

All’orizzonte delle mie notti

Taverniere, posamelo davanti

Busso alla porta del cuore.  Senza risposta

È vino la rugiada spillata dalla rosa dell’alba

Vorremmo tutti finire in bellezza

Mi s’è piazzato davanti e si è sbottonato tutto

Quando ti stendi sul tappeto

Hai l’inchiostro dentro

Muro, ho pianto

In grappoli sotto il pergolato della taverna

Si staglia nella mente

Vengo completamente ripulito alla tua vista

È il manto di Dio il mantello del mondo

Santi viandanti mendicanti

Estate estatica

Masturbazione

Dal paradiso in oriente al destino, l’occidente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA bio-bibliografica

Arnold de Vos, poeta migrante presente a Roma dal 1968, poi a Trento e Selva di Grigno in Valsugana, e residente a Tunisi, ha al suo attivo i libri di poesia Merore o Un amore senza impiego (Cosmo Iannone, Isernia 2005), e Vertigo. 77 poesie per Ahmed Safeer (Edizioni del Leone, Spinea-Venezia 2007).  Dopo il debutto come poeta in Olanda (Uit een volslagen duisternis. Gedichten voor Gerrit Achterberg, Sijthoff, Leiden 1967) e la traduzione in neerlandese de Il Sempione strizza l’occhio al Frejus di Elio Vittorini (De Bezige Bij, Amsterdam 1967), egli si dà con la moglie all’archeologia (E. La Rocca, M. & A. de Vos, Guida archeologica di Pompei, Mondadori 1976-oggi; A. & M. de Vos, Pompei Ercolano Stabia, Guide archeologiche Laterza 1982, 1988; AA.VV., Pompei. Pitture e mosaici, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani I-III, Roma 1990).
Autore di Poesie del deficit (Edigam, Padova 1980: premio per poemetto “Piccolo Strega” 1979, premio “Taormina” 1980); Il portico. Poesie (Gazebo, Firenze 1985); Responso. Poesie (Ragusa 1990: premio “Sikania”), suoi testi si trovano in: Omaggio a Lawrence Ferlinghetti (Edizioni ObliquaMente, Trento 2005); Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano a cura di Mia Lecomte (Le Lettere, Firenze 2006), e in A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy a cura di Mia Lecomte e Luigi Bonaffini (Green Integer, Los Angeles 2007).  Un’intervista con l’autore in: Davide Bregola, Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti (Cosmo Iannone, Isernia 2005).
De Vos ha collaborato/collabora alle riviste Salvo Imprevisti, Arenaria, GRADIVA. International Journal of Italian Poetry, Le Voci della luna, Pagine, Kuma, Sagarana, El-Ghibli, Saudade, Semicerchio, i.cardini e ilFunambolo; i siti di poiein, rivistasaudade, Literary, Whipart, e i siti di Radio3 Fahrenheit e Radio3 Suite riportano vari interventi [su] di lui.  La sua prima prosa in italiano, scritta come prefazione per Il portico e riesumata nella plaquette Paradiso e destino o La perla insonne delle pudende (Sciascia, Caltanissetta 2000: premio “Città del Pittore Guastaferro” 2000, con Peter Russell) apparterrebbe, secondo Ernesto L’Arab, “al filone del miglior romanzo psicologico europeo”: ‘900 e oltre. Inediti italiani di prosa contemporanea, Istituto Italiano di Cultura di Napoli (gennaio 2005).
Ha pronti altri libri di versi: Sublimazione (raccolta vincitrice della XIX edizione 2007 del Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, sezione Raccolta inedita, dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli), e Sotto il pondo. 88 poesie per Ahmed Safeer.

 

 

Arnold de Vos, Sublimazione

 

NOTA sulla sua poesia

 

Il discorso dell’amore copre un percorso noto e ricorrente nelle sue fasi cicliche: l’esaltazione,

la gelosia, il disagio, l’incontro, l’attesa, la tenerezza, la passione, la scenata, l’esclusiva…

Ma, proprio perché si muove in un territorio usuale, la reinterpretazione del poeta si affida

in misura inversamente proporzionale all’originalità della pronuncia oltre che all’incisività

espressiva.  È, appunto, il caso di Arnold de Vos e del suo limpido discorso amoroso, così

chiaro e fresco da far gridare al miracolo. E, in presenza degli sconfinamenti dissennati e

maniacali dell’amore, ecco subito l’opportunità di evocare in scena giusti talismani.  Perché

la superstizione rientra di diritto tra le pratiche del gioco amoroso e servono gli “oggetti”

dell’amato, ai quali attribuire il potere magico di tener lontani mali e pericoli e di rispecchiare

la perfezione e la bellezza del suo corpo e del suo essere.  Non c’è innamoramento,

infatti, che non si trascini dietro una sana volontà scaramantica.  Con la sua bravura, de Vos

riesce a passare ardito e arguto in mezzo ai mille trabocchetti dell’eterna vicenda amorosa;

riconsegnandone al lettore un attraversamento del tutto inedito, perfino sorprendente e, in

ogni caso, inaspettato.  Nel giro breve di qualche verso, di qualche strofa al massimo, e nella

forma inquietante della poesia che tutto evoca e disperde.  All’amato assente, si fa continuamente il discorso della sua assenza.  L’altro, così, è assente come referente e presente come interlocutore; e ne deriva il carattere angosciato e angosciante (ancora di più nella nitidezza della scrittura) del tempo “presente”, che è il tempo verbale vero dell’amore e del

delirio amoroso.  Nella voracità di afferrare ogni attimo e scivolando, intanto, già al momento

di essere di nuovo sul punto di afferrarlo.  L’attesa è un incantesimo e, in giro per queste

pagine, siamo sempre sull’orlo di una catastrofe amorosa annunciata (cioè temuta), in piena

vertigine.  Ma il rischio, si sa, rende più piacevole ogni cosa.  E, intanto, gioie e desideri

disegnano il percorso accidentato: scivolamenti, crepe, burroni e terremoti.  La grande avventura

dell’amore si riconsegna alle sue interne autofondanti ragioni assolute.

Paolo Ruffilli.

 
Arnold de Vos, Sublimazione

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